di Vitaliano D'Angerio e Gianfranco Ursino
(fonte)
È di oltre 10 miliardi il rosso dei fondi italiani nel solo mese di gennaio. Una ecatombe che resterà negli annali dell'industria del risparmio gestito tricolore. In attesa di alzare il velo sui dati ufficiali di Assogestioni, che saranno diffusi martedì 5 febbraio, «Il Sole-24 Ore» ha raccolto le prime indiscrezioni sul dato di raccolta netta che l'industria ha registrato da inizio anno. Dopo aver archiviato il 2007 con un tonfo di 53 miliardi di euro, il nuovo anno inizia quindi sotto pessimi auspici per i gestori.
In un contesto di per sé negativo per il settore, le cui origini possono essere ritrovate in alcune debolezze strutturali del sistema finanziario italiano, è giunto il colpo di mannaia dei ribassi borsistici che hanno caratterizzato fin qui il 2008. Era da tempo che non si verificava un gennaio così terribile per i listini. Di solito l'inizio dell'anno è un periodo tranquillo, commentano i gestori. Stavolta però non è andata così: l'S&P500, l'indice delle blue chip americane ha perso il 6 per cento, il peggior gennaio dal 1990. Uno storno che ha impaurito gli investitori, in particolare il popolo retail.
La valanga di riscatti arriva inoltre in un mese particolare per il riposizionamento dei portafogli: storicamente a gennaio i risparmiatori sono più disposti a investire. E questo non lascia ben sperare per il proseguo dell'anno, anche perché quando c'è una discesa marcata e improvvisa il picco dei riscatti arriva puntualmente nei mesi successivi. C'è sempre un certo ritardo nella risposta degli investitori, privi dell'adeguata consulenza che dovrebbero ricevere allo sportello.
In questa fase di mercato le banche preferiscono collocare allo sportello obbligazioni strutturate o le più classiche «plain vanilla». Il possesso di obbligazioni bancarie delle famiglie, in rapporto alla ricchezza, in Italia è molto più alto che in tutti gli altri Paesi europei. Un ammontare destinato a crescere nel corso dell'anno. L'obiettivo degli istituti di credito sarebbe quello di puntare sulla raccolta diretta per finanziarsi a tassi inferiori rispetto al mercato interbancario dove, ora, il denaro è più caro a causa della generale crisi di fiducia provocata dalla bolla subprime. Meglio collocare un'obbligazione dunque che un fondo, tanto più che per le prime non c'è consulenza dopo la vendita, spiegano a denti stretti alcuni direttori commerciali di Sgr, un po' stizziti con la casa madre che il più delle volte è una banca.
Infine un altro motivo di questa fuga dai fondi è legato alla Mifid, la direttiva europea sui mercati finanziari. Le banche non possono più incassare le retrocessioni legate alle gestioni patrimoniali in fondi (Gpf): lo stabilisce la Mifid a cui ha fatto seguito un'interpretazione ad hoc della Consob. Conseguenza? Gli istituti italiani stanno smontando le Gpf. Da qui la massiccia fuoriuscita dai fondi. Un problema quest'ultimo soprattutto per le case di investimento straniere i cui fondi vengono usati alla stregua di mattoncini per costruire le Gpf. Ma alcuni player esteri hanno già preso le contromisure. «Sì, anche a noi risulta che alcune banche italiane stanno smontando le Gpf – spiega Sergio Trezzi, country head in Italia del gruppo internazionale Invesco – Ma non ci preoccupa. Infatti, le stesse banche stanno sostituendo i fondi con gli Etf. E noi da tempo puntiamo sui "cloni", in particolare sugli Etf di seconda generazione della nostra società Powershare». Sostituire i fondi con gli Etf. Ma perché? «Le banche in questo modo comprimono le spese – aggiunge Trezzi – gli Etf da inserire nelle gestioni costano infatti decisamente meno dei fondi».
In attesa di conoscere l'esatta entità della débâcle è facile pronosticare che la categoria di prodotti meno bersagliata dai riscatti sarà quella dei fondi di liquidità. In questo momento la ricerca di tranquillità è universale e c'è da attendersi un ritorno anche verso i titoli di Stato, BoT in primis.
Sabato 02 Febbraio 2008
Il Sole 24 Ore
(fonte)
È di oltre 10 miliardi il rosso dei fondi italiani nel solo mese di gennaio. Una ecatombe che resterà negli annali dell'industria del risparmio gestito tricolore. In attesa di alzare il velo sui dati ufficiali di Assogestioni, che saranno diffusi martedì 5 febbraio, «Il Sole-24 Ore» ha raccolto le prime indiscrezioni sul dato di raccolta netta che l'industria ha registrato da inizio anno. Dopo aver archiviato il 2007 con un tonfo di 53 miliardi di euro, il nuovo anno inizia quindi sotto pessimi auspici per i gestori.
In un contesto di per sé negativo per il settore, le cui origini possono essere ritrovate in alcune debolezze strutturali del sistema finanziario italiano, è giunto il colpo di mannaia dei ribassi borsistici che hanno caratterizzato fin qui il 2008. Era da tempo che non si verificava un gennaio così terribile per i listini. Di solito l'inizio dell'anno è un periodo tranquillo, commentano i gestori. Stavolta però non è andata così: l'S&P500, l'indice delle blue chip americane ha perso il 6 per cento, il peggior gennaio dal 1990. Uno storno che ha impaurito gli investitori, in particolare il popolo retail.
La valanga di riscatti arriva inoltre in un mese particolare per il riposizionamento dei portafogli: storicamente a gennaio i risparmiatori sono più disposti a investire. E questo non lascia ben sperare per il proseguo dell'anno, anche perché quando c'è una discesa marcata e improvvisa il picco dei riscatti arriva puntualmente nei mesi successivi. C'è sempre un certo ritardo nella risposta degli investitori, privi dell'adeguata consulenza che dovrebbero ricevere allo sportello.
In questa fase di mercato le banche preferiscono collocare allo sportello obbligazioni strutturate o le più classiche «plain vanilla». Il possesso di obbligazioni bancarie delle famiglie, in rapporto alla ricchezza, in Italia è molto più alto che in tutti gli altri Paesi europei. Un ammontare destinato a crescere nel corso dell'anno. L'obiettivo degli istituti di credito sarebbe quello di puntare sulla raccolta diretta per finanziarsi a tassi inferiori rispetto al mercato interbancario dove, ora, il denaro è più caro a causa della generale crisi di fiducia provocata dalla bolla subprime. Meglio collocare un'obbligazione dunque che un fondo, tanto più che per le prime non c'è consulenza dopo la vendita, spiegano a denti stretti alcuni direttori commerciali di Sgr, un po' stizziti con la casa madre che il più delle volte è una banca.
Infine un altro motivo di questa fuga dai fondi è legato alla Mifid, la direttiva europea sui mercati finanziari. Le banche non possono più incassare le retrocessioni legate alle gestioni patrimoniali in fondi (Gpf): lo stabilisce la Mifid a cui ha fatto seguito un'interpretazione ad hoc della Consob. Conseguenza? Gli istituti italiani stanno smontando le Gpf. Da qui la massiccia fuoriuscita dai fondi. Un problema quest'ultimo soprattutto per le case di investimento straniere i cui fondi vengono usati alla stregua di mattoncini per costruire le Gpf. Ma alcuni player esteri hanno già preso le contromisure. «Sì, anche a noi risulta che alcune banche italiane stanno smontando le Gpf – spiega Sergio Trezzi, country head in Italia del gruppo internazionale Invesco – Ma non ci preoccupa. Infatti, le stesse banche stanno sostituendo i fondi con gli Etf. E noi da tempo puntiamo sui "cloni", in particolare sugli Etf di seconda generazione della nostra società Powershare». Sostituire i fondi con gli Etf. Ma perché? «Le banche in questo modo comprimono le spese – aggiunge Trezzi – gli Etf da inserire nelle gestioni costano infatti decisamente meno dei fondi».
In attesa di conoscere l'esatta entità della débâcle è facile pronosticare che la categoria di prodotti meno bersagliata dai riscatti sarà quella dei fondi di liquidità. In questo momento la ricerca di tranquillità è universale e c'è da attendersi un ritorno anche verso i titoli di Stato, BoT in primis.
Sabato 02 Febbraio 2008
Il Sole 24 Ore
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